UN INCONTRO IMPORTANTE

UN INCONTRO IMPORTANTE

di Sara Delle Piane

Mercoledì ventotto febbraio io e i miei compagni di classe, dopo la ricreazione, scendiamo al secondo piano dove ci aspettano quattro persone: due donne e due ragazzi di colore, coloro che oggi hanno il compito di raccontare le loro storie.

Quando tutti abbiamo preso posto i due si presentano: il ragazzo più minuto si chiama Abdul mentre il più alto Justice, entrambi hanno diciannove anni.

Io quasi venti” precisa Justice sorridendo, poi si siede in un angolo.

Abdul rimane con una delle due donne in mezzo alla classe e comincia a parlarci del lungo viaggio dalla Costa d’Avorio all’Italia. All’inizio parla a voce più bassa e sembra incerto sulle parole da usare, ma andando avanti col racconto la sua narrazione diventa sempre più chiara e sicura.

E’ il 2012 quando, un giorno, mentre Abdul si prepara a uscire a giocare con un amico, degli uomini armati fanno irruzione nella casa dove vive insieme alle sorelle, gli zii e la madre, e colpiscono quest’ultima alla spalla, uccidendola.

Lo zio fa uscire velocemente Abdul e il suo amico dalla porta sul retro e li esorta a saltare nel fiume dietro casa per raggiungere la città più vicina. Vedendoli tentennare nel buttarsi, lo zio li spinge dentro, dando inizio alla lunga odissea di Abdul.

I due ragazzini raggiungono una città poco distante e incominciano a camminare senza meta fino a quando decidono di salire su un autobus, dopo poche fermate, però, un controllore gli chiede il biglietto di cui sono sprovvisti.

Un uomo seduto vicino ad Abdul e il suo amico, guardando i due ragazzi con i vestiti fradici dopo il viaggio nel fiume e senza nemmeno i soldi per pagare il biglietto dell’autobus, prova compassione così paga per loro la cauzione richiesta dal controllore e li invita ad andare a dormire nella casa dove vive con i suoi figli.

Abdul è felicissimo e trascorre circa tre anni della sua vita sotto lo stesso tetto del generoso signore e dei suoi figli. Alla morte dell’uomo, però, i figli decidono di sfrattare Abdul e il suo amico che si ritrovano nuovamente senza posto dove stare.

I due percorrono molti chilometri a piedi e sfruttando i passaggi che vengono loro offerti arrivano in Libia.

L’unico posto dove possono passare la notte è una grande casa dove alloggiano più di trecento persone.

Abdul ricorda che, nei giorni trascorsi lì, spesso venivano picchiati e ogni giorno avevano diritto a bere solo mezzo litro d’acqua a testa.

Un giorno, nella casa, scoppia una rissa, Abdul scappa e nella confusione perde di vista il suo amico che non rivedrà mai più.

Seguendo altri uomini scappati dalla casa, si ritrova in una jeep che attraversa tutto il deserto. Anche qui il cibo è scarso ma il ragazzo ci ha fatto l’abitudine ormai.

Dopo alcune settimane passate interamente dentro alla macchina, i passeggeri  scendono dall’auto.

Si sono fermati davanti al mare e davanti a un barcone in partenza.

Abdul sale sul barcone affollatissimo.

I primi giorni il mare sembra calmo ma, presto, a causa delle troppe persone a bordo e del mare in tempesta, molte persone cadono in acqua e affogano.

Abdul riesce a salvarsi, e dopo qualche altra settimana di viaggio arriva in Sicilia, trova che sia una terra accogliente perché gli sono stati forniti immediatamente dei vestiti e delle scarpe nuove. Anche se non capisce ancora l’italiano, cerca di comunicare in francese e quando gli viene detto che è arrivato in Italia, si sente molto felice, spesso ha sentito parlare bene dell’Italia e, non sentendosi in pericolo lì, tira un sospiro di sollievo.

Abdul arriva, infine, a Genova nel 2016 dove viene accolto dalla Comunità di Sant’Egidio. Qui può cimentarsi in dei corsi per imparare alcuni lavori come il panettiere, il mestiere  che più gli piace.

Justice ci dice che ha avuto una storia molto simile a quella di Abdul, ma non è partito dalla Nigeria per una guerra o delle persecuzioni bensì per motivi familiari.

Incominciamo a porre loro qualche domanda come “A cosa pensavate quando eravate a bordo del barcone?”

Pensavo alle mie sorelle, pensavo che, se fossi arrivato in Italia, avrei fatto di tutto per farle venire a vivere con me!” risponde Abdul.

Gli chiediamo se hanno molti amici e loro rispondono che non è stato facile fare amicizia ma che ora hanno tante persone che gli vogliono bene.

Avete mai subito episodi di razzismo?”

Abdul dice che, per fortuna, non sono mai stati perseguitati da insulti razzisti.

Justice ci spiega la sua opinione sul razzismo: “Noi stranieri siamo come dei figli per voi italiani. Dovete darci fiducia, abbiamo tanto da imparare da voi!”.

Non posso fare a meno di pensare che anche io ho imparato molto da Justice e Abdul, oggi.

Forse anche noi italiani dovremmo provare a essere “figli degli extracomunitari” e che il rimedio migliore contro il razzismo sia proprio lo scambio reciproco di conoscenze.